S. Em. Card. Matteo Maria Zuppi Arcivescovo Metropolita
Bologna, 13 ottobre 2019
Santa messa solenne in San Petronio
E’ facile questa sera riconoscere tanta provvidenza di Dio. Resta il problema – come per i lebbrosi – di tornare da Gesù, di non appropriarsi del dono rendendolo merito o lasciandolo anonimo, invece di riconoscere e ringraziarne l’autore. Farlo ci permette scoprire e rinnovare la fede che ci salva. Diceva il Cardinale Biffi – e con lui questa sera desidero ricordare con gratitudine tutti i miei predecessori ed i tanti santi della Chiesa bolognese, quelli dichiarati tali e i tanti Santi “della porta accanto” che hanno vissuto e testimoniato l’amore di Dio con la loro vita – che la “casualità è soltanto il travestimento assunto da un Dio che vuole passeggiare in incognito tra le strade del mondo”, aggiungendo anche che “di per sé la casualità può essere insensata, per certi versi anche umiliante”. La mia provvidenza. Ho ricevuto l’annuncio della nomina a Lourdes, protetto da Maria Madre della Chiesa e dalla compagnia di tanti ammalati, per mostrarmi chi devo servire e per mostrarmi una madre della quale sono figlio e che debbo amare con tutto me stesso. Nel Vangelo di quella domenica Gesù ricordava, a quanti cercano i primi posti, che chi si esalta sarà umiliato. Per chiarire come pensarsi. Sabato scorso, il giorno della “creazione” a cardinale, il Vangelo era quello del servo inutile, per ricordarmi che siamo solo servi che non hanno niente da esigere e per questo liberi da meriti o calcoli. Sono e resto un servo “inutile” e per certi versi ancora più servo. La mia prima Eucaristia è stata lunedì scorso a Longara per don Mauro Fornasari, che insieme a don Giovanni Fornasini e a tutti i martiri di Monte Sole mi hanno ricordato fisicamente il senso del rosso, testimoni che hanno donato il sangue, non per coraggio, ma per amore della loro comunità. Essi hanno ascoltato Dio più delle loro paure e non si sono piegati agli uomini per essere liberi e non schiavi. Oggi capisco tutta questa provvidenza, che è mia e nostra, la grazia di amare e servire la Chiesa e il mondo. Oggi è una celebrazione che allarga il cuore di tutti perché in realtà chi accogliamo non è il nuovo cardinale ma la Chiesa nostra madre. Il riconoscimento mi e ci aiuta a conoscere di nuovo quello che siamo e viviamo. Abbiamo tutti sempre bisogno di essere riconosciuti: non serve farlo da soli o cercarlo ossessivamente nel grande mare della navigazione virtuale. Ognuno di noi può riconoscere il fratello e farlo senza ufficialità “riconoscendo” il dono che è l’altro, la sua persona, la sua bellezza spesso non compresa perché solo l’amore permette di vederla. Ognuno è un valore, sempre, anche quando magari non lo può più dire o non può fare nulla. E se è vero che la Chiesa e la città hanno tre navate come i portici e la strada, riconosco nella nostra città la bonomia, l’accoglienza, la cultura, la libertà, la capacità di relazione e di lavoro, la solidarietà, il desiderio di superare la logica delle parti per difendere l’interesse che è di tutti e dell’unica casa comune. Ecco, la decisione di Papa Francesco riconosce tutta questa bellissima casa comune che è la Chiesa di Bologna e la sua città degli uomini alla quale è intimamente legata, perché ne è l’anima di essa. Il Cardinale aiuta il successore di Pietro – che si ama e al quale si obbedisce sempre, qualsiasi esso sia – nel servizio alla comunione. La Chiesa è diffusa ovunque perché popolo senza confini, che non vuole tracciarli anzi che li attraversa liberamente perché ha come unico comandamento quello dell’amore per Dio, per il prossimo e per se stessi. Siamo parte di una comunione larga ma non ci perdiamo. Tutti dobbiamo aiutare la comunione, perché ha bisogno di ognuno. La Chiesa è comunione, non uniformità o democrazia; parla la lingua che tutti comprendono, pur restando diversi tra noi; è un poliedro con tanti lati, come questa sera, parrocchie, associazioni, comunità piccole e grandi, isolate negli spazi della montagna o inserite nella confusione della città. Questa sera con voi capisco il significato del servizio, perché mi penso e ci pensiamo assieme, perché la Chiesa è una famiglia, che ha un “cuore solo e un’anima sola” e in essa tutto ciò che è mio è tuo. E questi anni mi hanno unito così profondamente a voi e, come sempre avviene nell’amore, ognuno è colui che ama, si pensa con l’amato.
La gioia non è mai individuale. In Africa, dove il tamburo è grande e viene usato per fare festa e per convocare il villaggio, c’è un lapidario proverbio: “Non serve rubare il tamburo”. A che serve, infatti, una gioia come affermazione di sé o possesso, ottenuto magari a prezzo di tanto stress, di qualche imbroglio, di divisioni e sacrifici, di compromessi e tradimenti? Eppure ci ostiniamo a rubare il tamburo, assecondando così il vero pensiero dominante che è l’individualismo, così pervasivo e suadente, che diventa facilmente giustificazione e premessa dell’odio, incapacità di parlare, ricerca di quello che divide e non quello che unisce, perdita di tante opportunità e quindi toglierle ad altri. Rubiamo il tamburo e poi non possiamo usarlo! E’ nostro ma senza la comunità, cui lo abbiamo preso, diventa inutile. Suoniamo il tamburo, amandoci gli uni gli altri, donando la vita che è davvero mia non perché me la tengo per me ma perché ne faccio motivo di gioia con e per il prossimo. Ecco perché sento tanta gioia e capisco come solo donandola la trovo, perdendola si moltiplica, al di là di ogni merito e nonostante la personale inadeguatezza e il mio peccato. Gesù ha insegnato a non avere paura di amare, ci ha donato la Libertas di un cuore libero di amare il prossimo senza categorie, tutto, senza pregiudizi perché nessuno è straniero. Ci ha donato il suo amore che è la chiave che apre ogni cuore, senza interessi di parte. Questo è davvero eminente! E poi nella Chiesa funziona il contrario del mondo. Per il Vangelo grande non è chi comanda ma chi serve e gli ultimi sono i primi, gli umili sono innalzati, mentre i principi perdono i loro troni.
Papa Francesco ha indicato ai nuovi cardinali la compassione come requisito essenziale, atteggiamento del suo cuore, non come atteggiamento occasionale o facoltativo. Solo la compassione permette di vedere e capire la sofferenza e quindi anche il senso e la necessità del nostro amore. I discepoli di Gesù dimostrano spesso di essere senza compassione, come accadde di fronte all’uomo mezzo morto o alla folla che volevano mandare via. Da questo atteggiamento molto, troppo umano, derivano anche strutture di non-compassione. Dimenticando che noi per primi siamo stati oggetto della compassione di Dio si diventa presuntuosi o prigionieri delle proprie semplificazioni ideologiche. Aiutatemi e aiutiamoci a vivere la compassione, che vuol dire stare sempre dalla parte di chi soffre, non essere indifferenti, non abituarsi al dolore. Vuol dire anche pensare e costruire “strutture di compassione”, perché questa diventa intelligenza e anche fraternità tra noi.
C’è solo un cardine: Gesù. Solo “incardinati” in Lui troviamo il senso della nostra vita e possiamo aiutare tutti. Gesù, ci cerca e ci aiuta a trovarlo perché come un innamorato ci aspetta al posto dove noi passiamo e sembra che per caso stesse lì ma in realtà voleva proprio noi e trasforma ogni incontro in un momento di amore. Oggi, desidero rinnovare con voi il patto di amicizia della Chiesa con la città degli uomini, mandato e mandati a vivere il Vangelo con tutti. E’ la bellissima immagine, tratta da un Codice bolognese, di Gesù che con mani grandi e ferite, segno di un amore vero e fino alla fine, manda ognuno di noi a amare. Costruiamo con la nostra vita tanti portici tra le persone, di dialogo e conoscenza, di ascolto rispettoso e di attenzione ai più poveri, di protezione della vita dal suo inizio fino alla fine.
Ti ringrazio Signore per la tua famiglia senza confini che posso servire e amare perché tu hai avuto compassione per me e doni la gioia che nessuno può portarmi via. Ti ringrazio perché innalzi gli umili e abbassi i principi di questo mondo. Insegnami a vivere la semplicità delle colombe e l’astuzia dei serpenti per combattere il divisore, l’unico nemico con il quale non si scende a compromessi. Insegnami la semplicità che esamina se stessa e non condanna nel suo giudizio nessuno, che non desidera per sé alcuna carica, che lascia le tortuosità delle parole, le distanze che escludono e contristano il prossimo e donami di cercare non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene. Accresci la compassione verso chiunque è nel dolore, la gioia di essere tuo, la forza e l’intelligenza del tuo amore, la ricchezza di avere tutto proprio perché ho solo Te. Proteggi la Chiesa tutta, specialmente i cristiani in difficoltà. Rendila madre e per questo maestra. Guida la nostra Chiesa di Bologna, nelle sue comunità piccole e grandi, e donale tanti figli, per essere un porto di misericordia per tutti, specialmente i poveri, luminosa e attraente, amata dal ministero di ognuno di noi. Con i santi del cielo e della terra ti affido tutta la mia vita perché sia nel cardine del tuo amore. Intercedano per me e per tutti la Vergine di San Luca, i Santi Vitale e Agricola, San Petronio, Santa Clelia. Grazie Signore buono e amico degli uomini.