Ricordiamo Don Dario Malaguti a 15 anni dalla sua salita al Padre con le parole del Cardinale Giacomo Biffi
” … Sempre l’enigma della morte umana – quando siamo costretti dagli accadimenti dell’esistenza ad affrontarne il pensiero – ci sgomenta e ci affligge. Tanto più ci sgomenta quando la fine arriva con la connotazione di una tragedia repentina e inattesa; tanto più ci addolora, quando si tratta della perdita di un sacerdote carissimo, di un fedele e generoso servitore di Dio, di un uomo dal cuore semplice e grande come Don Dario Malaguti. ….
……… A don Dario dobbiamo tutti molta gratitudine. Gli è grata la nostra Chiesa per il suo ministero intemerato. Gli sono ancora grate, a distanza di anni, le parrocchie di Sant’Apollinare di Serravalle, di Boschi di Baricella, di Passo Segni. Gli è grata la piccola comunità di Calamosco, da lui guidata per trentatré anni. Soprattutto gli è grata questa parrocchia di Sant’Antonio alla Dozza che onora in lui il suo fondatore e il suo primo pastore. …..”
Dall’Omelia dell’Arcivescovo di Bologna Cardinale Giacomo Biffi nella liturgia funebre di Don Dario
S. Antonio alla Dozza, 23 agosto 1999
Così lo ricordava Bologna 7 di Avvenire del 22 agosto 1999:
Negli anni successivi si sono susseguite moltissime testimonianze delle persone che a diverso titolo lo avevano conosciuto e apprezzato. Una per tutti, quella di due detenuti per terrorismo alle Carceri della Dozza, testimonia e fotografa Don Dario Malaguti come “prete degli umili”:
La nostra conoscenza risale alla fine degli anni 80.
A Bologna hanno da poco terminato la costruzione della nuova Casa Circondariale, appena fuori città, alla Dozza appunto, dove pure è in via di ultimazione la nuova parrocchia.
In quel periodo cominciamo ad uscire in misura alternativa assieme ad altri.
E per tutti diventa una buona abitudine fermarsi, soprattutto la sera prima del rientro, in questo luogo accogliente e vivo, (la parrocchia appunto) a cinque minuti dal carcere.
Non ricordiamo l’occasione in cui abbiamo conosciuto Don Dario… ricordiamo però che da un certo punto in poi è diventato naturale passare e fermarsi da lui.
Allora non avevamo casa a Bologna, nessun riferimento familiare fuori dal carcere. Finito il lavoro restavano un paio d’ore da consumare strada facendo o un un bar (per altro vietato).
Quella parrocchia, a poche centinaia di metri dal carcere era molto comoda e “calda”. Così è cominciata. E, quando, più avanti, abbiamo avuto la casa, la famiglia, abbiamo continuato a passarci per respirare quell’aria dì tranquillità e condivisione, per avere notizie dei vecchi amici, che pure, ogni tanto, passavano, per dare nostre notizie a Don Dario, per fargli conoscere la nostra bambina.
Se si arrivava prima di cena … , non c’era problema: aggiungevano (tra le proteste della perpetua) un posto a tavola e qualcosa da mangiare c’era per tutti.
Se sì arrivava dopo cena, c’era un bicchiere di vino buono, un caffè, qualche compagno con cui fare una partita a carte o a biliardo.
Don Dario era sempre presente e stava in mezzo a noi come uno di noi.
Ma è questo NOI che era particolarmente interessante.
Lì si fermavano i detenuti ma anche le guardie, anche loro spesso sradicati e senza famiglia. Si fermavano i detenuti “tutti d’un pezzo” ma anche quelli che si erano “spezzati”: le guardie e i ladri, gli infami e gli irriducibili, i buoni e i cattivi … “i lupi e gli agnelli”.
Lo straordinario era che lì si conviveva senza tensioni, si aiutava Don Dario negli ultimi lavori per la parrocchia, qualcuno si preparava una stanza dove poi andare a vivere per un po’ in attesa della libertà o di una collocazione diversa.
Alla tavola, davanti al bicchiere di vino, qualche volta ci trovavamo il Direttore del Carcere, senza scorta, oppure la guardia che qualche settimana prima ci aveva dato una ripassatina, qualche altro detenuto ci trovava quello che lo aveva fatto finire in carcere o che, in sua assenza, gli aveva rubato la moglie.
In quel posto tutte queste differenze, tutti i contrasti rimanevano fuori; alla tavola di Don Dario non ci sono mai stati scontri, problemi: era un luogo di comunicazione e di PACE.
La parola RICONCILIAZIONE allora non era di moda (chissà poi se Io è adesso — anche se la si sente pronunciare più spesso). Lì però la si viveva ed era una esperienza forte e concreta.
Don Dario non ha mai forzato (nemmeno tentato) le nostre coscienze, non ci ha mai “chiesto l’anima”, come spesso accadeva: ”io ti aiuto tu però ….” .
Da lui era tutto “gratis et (veramente) amore Dei”: non predicava ma viveva con noi come un buon cristiano, portava con noi “le catene” e ci regalava la speranza che il futuro sarebbe stato possibile e diverso.
Leggemmo la notizia della sua morte sul giornale, c’era la foto della sua vecchia auto in un fosso e fu un dolore grande, una perdita.